Avevano Spento Anche La Luna by Ruta Sepetys

Avevano Spento Anche La Luna by Ruta Sepetys

autore:Ruta Sepetys [Sepetys, Ruta]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
Tags: Romanzo
ISBN: 978-88-11-13321-6
editore: Garzanti
pubblicato: 2010-12-31T23:00:00+00:00


45

Camminai al buio fra le baracche, dirigendomi verso l’edificio dell’NKVD in fondo al campo. Udii voci che mormoravano dietro le pareti sottili. Corsi lungo la fila di alberi stringendo in tasca le sigarette e la penna. Mi fermai dietro un albero.

La caserma dell’NKVD sembrava un albergo in confronto alle nostre baracche. Le lampade al cherosene ardevano luminose.

Un gruppo di agenti era seduto sotto il portico a giocare a carte, passandosi una fiaschetta.

Avanzai strisciando nell’ombra fino al retro dell’edificio.

Udii qualcosa... un pianto, poi sussurri in lituano. Girai l’angolo.

La signora Arvydas era seduta su una cassa, le spalle che si sollevavano e si abbassavano al ritmo dei suoi singhiozzi soffocati. Andrius era inginocchiato davanti a lei e le stringeva le mani. Mi avvicinai piano piano.

Andrius alzò la testa di scatto. «Che cosa vuoi, Lina?» disse.

«Io... signora Arvydas, si sente bene?» Lei voltò la testa dall’altra parte.

«Vattene, Lina», disse Andrius.

«Posso aiutarvi in qualche modo?» chiesi.

«No.»

«C’è qualcosa che posso fare?» insistetti.

«Ti ho detto di andartene!» Andrius si alzò in piedi e mi fronteggiò.

Rimasi immobile. «Sono venuta a darti...» Infilai una mano in tasca per prendere le sigarette.

La signora Arvydas si voltò verso di me. Il trucco agli occhi era colato su un’escoriazione sanguinante che le segnava una guancia.

Che cosa le avevano fatto? Sentii le sigarette stritolarsi fra le mie dita. Andrius mi fissava.

«Mi dispiace.» La mia voce tremò, incrinandosi. «Mi dispiace davvero.» Mi voltai di scatto e cominciai a correre.

Mi passavano davanti immagini come lampi, fondendosi insieme, distorte dalla mia velocità: Uljuška che sorride con denti gialli; Ona per terra, un occhio morto aperto; la guardia che avanza verso di me buttando fuori il fumo dalle labbra increspate – “Basta, Lina” –; il volto pesto del papà che mi guarda giù dal buco; cadaveri riversi accanto alle rotaie del treno; il comandante che allunga la mano per toccarmi il seno. “BASTA!” Non ci riuscivo.

Tornai di corsa alla nostra baracca.

«Lina, cos’è successo?» mi chiese Jonas.

«Niente!»

Mi misi a camminare avanti e indietro. Odiavo quel campo di lavoro. Perché eravamo finiti lì? Odiavo il comandante.

Odiavo Kretzskij. Uljuška si lamentò e pestò un piede per terra perché mi sedessi.

«TACI, STREGA!» gridai.

Frugai nella mia valigia. Con la mano urtai contro la pietra di Andrius. La afferrai. Mi venne la tentazione di lanciarla a Uljuška, invece cercai di frantumarla. Non ne avevo la forza.

Me la misi in tasca e presi di scatto il mio blocco di carta.

Trovai una striscia di luce fuori, sul retro della nostra baracca.

Tenni sospesa sul foglio la penna rubata. La mia mano cominciò a muoversi con tratti brevi e abbozzati. Presi fiato.

Tratti più fluidi. La signora Arvydas lentamente apparve sulla pagina. Il suo collo lungo, le labbra piene. Pensavo a Munch mentre disegnavo, la sua teoria che il dolore, l’amore e la disperazione fossero anelli di una catena infinita.

Il mio respiro rallentò. Ombreggiai i suoi folti capelli castani che ricadevano in una morbida curva sul lato del volto e una grossa escoriazione sulla guancia. Esitai, lanciando un’occhiata alle mie spalle per accertarmi di essere sola. Disegnai il trucco sulle palpebre, sciolto dalle lacrime.



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